Vi invito a leggere queste parole come un passatempo, a leggerle con un po' di cinismo e ironia.
Sin
dal principio dei tempi, l’uomo ha raccontato a se stesso la propria fine.
Mitologia,
religione, creatività più o meno artistica hanno provato nei modi più disparati
ad ipotizzare come sarebbe accaduto. Che fine avremmo fatto.
Penso
di sì.
E se
non vi siete mai soffermati a costruirne una visione nella vostra mente, ci
sono tanti e tanti film da cui la nostra memoria attinge in automatico.
E
nella fantasia, più o meno religiosa, più o meno prosaica, l’Apocalisse è
sempre... il tripudio del caos.
La
colossale macchina cinematografica ce l’ha proposta in tutta una serie di salse
diverse, ma di esse la più frequente è: pandemia.
Virus.
Disastro
globale improvviso, rapidissimo.
Sì,
lo so, adesso la vostra mente sta ricostruendo quelle fantasmagoriche scene
viste sugli enormi schermi dei cinema (ve li ricordate, i cinema? Quei luoghi
bui, con le poltroncine imbottite piene di bozze che emanavano un costante
sentore di polvere e pop-corn), quelle riprese in totale magistralmente
orchestrate per raccontare gli assalti ai supermercati, alle armerie, gli esodi
di massa per fuggire dai focolai a bordo di station wagon cariche come serragli
da circo.
Le
folle in panico assiepate alle porte delle città, sui ponti che portavano fuori
dai centri urbani. Le urla. Il sangue.
Il
caos.
Un
caos rumoroso, assordante, che violenta i sensi e fa salire la pressione,
portando i battiti del cuore a mille. E intanto il contagio dilaga. Trasforma
le persone in mostri. Trasforma chi amiamo in mostri. E per sopravvivere è importante
essere determinati, armati, e non restare soli.
Quante
volte ci siamo domandati “che cosa farei io?” immedesimandoci nel protagonista
di turno, mettendo in discussione o rafforzando la nostra etica.
E
diciamoci la verità. Ci siamo immaginati tutti eroi. Inarrestabili, armati,
capaci di guidare il manipolo di sopravvissuti verso la salvezza. Noi, nuovi
messia del mondo che crolla.
Ma
la verità è diversa.
La
verità è che sì, c’è il virus, sì, è pandemia.
Ma l’Apocalisse
non ha portato il frastuono del caos. Non ha portato il rumore, le urla, i
motori rombanti degli esodi isterici. Ha portato il silenzio.
Le
strade vuote. Le finestre sprangate.
Tutto
è immoto, come congelato. Sigillato in un eterno istante muto.
In
questo vuoto, il rumore della pioggia sull’asfalto echeggia come colpi di
tuono.
La
verità è che non sapremo mai come ci saremmo comportati in una delle tante Apocalissi
proposte dal cinema. Perché qui, ora, per sopravvivere, l’unica cosa che
possiamo fare è restare immobili.
Serrati
nel buio delle case, la vera arma contro l’apocalisse è quella che fino a ieri
era stata eletta a grande male dell’uomo moderno da orde di genitori,
insegnanti, psicologi: la solitudine.
Se
vuoi sopravvivere, nella vera Apocalisse, devi essere solo.
L’attaccamento
al cellulare dei millennials non è mai stato visto in maniera più
positiva di quanto sia visto oggi, perché il cellulare ti permette di restare
connesso al mondo di prima: alle app, ai giochi, a quei piccoli familiari gesti
quotidiani del prima capaci di non farti perdere la testa, e alle persone care,
quelle che vorremmo abbracciare, baciare, o con le quali semplicemente ci
piacerebbe prendere un caffé e fare quattro chiacchiere disimpegnate. Ci tiene
in contatto, conservando però il nostro salvifico isolamento.
E
forse è questa la cosa più sconcertante, che più ci disorienta, della vera
Apocalisse.
Pensavamo
che avremmo sentito l’adrenalina nelle vene, quel sentore mistico tra la pancia
e lo sterno che ci fa sentire di stare per diventare degli eroi. Invece stiamo
sentendo solo le nostre natiche che si fondono col divano.
Ci
spaventa che non sopravvivere significherà morire come siamo nati e vissuti:
soli.
E
non sembra essere molto diverso dalle altre Apocalissi, dopotutto.
Nelle altre Apocalissi, in genere, quando muori è perché un infetto
(frequentemente uno zombie lercio e zoppicante che rantola come un tabagista
accanito prossimo a un enfisema polmonare) ti mangia.
Forse
muori lontano dai tuoi cari. Ma di certo non sei solo, c’è lo zombie, lì, che
con quel briciolo di cervello che gli resta (in genere il tuo) può presenziare
al tuo trapasso.
Mentre
qui... qui non c’è nessuno. Sei solo.
E la
verità è che, anche se l’isolamento è la vera arma per salvarci, anche se ci
facciamo forza ergendoci a misantropi felici di potercene stare per conto
nostro, l’isolamento dagli altri membri della nostra specie è il nostro grande horror
vacui.
Io
per ora tengo duro. Voi?
Passo e chiudo.
Alla prossima...
Alla prossima...
Cronache da un'Apocalisse qualunque
Rec 1
Apocalisse
Tu metti sempre un profondo pathos in tutto quello che scrivi. Quando questa storia finirà un caffè ce lo dobbiamo prendere. Io, tu e Molly.
RispondiEliminaE comunque io amo profondamente tutto quello che scrivi <3
<3 <3 <3 Non per tirarmela, ma sono molto soddisfatta di quello che è venuto fuori con questo esercizio, soprattutto se consideriamo che, a parte la tesi, sono anni che non scrivo quasi nulla.
EliminaA quanto pare ho trovato il sistema per fratturare il muro del blocco: appena ho un'idea la registro, quindi quando posso stare al pc la ricopio, facendo le modifiche del caso. Potrebbe essere la soluzione definitiva :D
Spunto di riflessioni per prendere consapevolezza di quello che sta accadendo e forse affrontarlo con maggior criterio <3
RispondiEliminaGià detto.
RispondiEliminaSono la solita editor rompiballe.
Bentornata <3 <3
Fa riflettere
RispondiElimina