giovedì 11 novembre 2021

Cattivo Sangue (relazioni tossiche negli young adult) - Introduzione - Estratti

 

Cosa raccontano le storie che leggono i ragazzi di oggi?
Quali ideali, quali messaggi vengono veicolati attraverso queste narrazioni, e come influiscono sulla formazione psico-emotiva degli adolescenti?
Cattivo Sangue si pone come obiettivo l'analisi approfondita dei più famosi titoli young adult, l'individuazione delle principali tematiche trattate in essi e fornisce tutta una serie di spunti didattici da sfruttare in lezioni indirizzate all'educazione emotiva sia in contesto scolastico, sia in contesto familiare.


Se si comporta male con te, è perché in realtà gli piaci.
Ogni donna avrà incontrato nella sua infanzia un bambino che la prendeva in giro, la maltrattava e si comportava da bullo prepotente. E sicuramente, quando ha ricercato conforto negli adulti a lei cari, si è sentita rivolgere questa frase, clamoroso incipit del film La verità è che non gli piaci abbastanza.
Questo significa che ogni donna ha avuto almeno una volta nella vita esperienza diretta di quella che in ambito psichiatrico viene definita dissonanza cognitiva.
La dissonanza cognitiva è il processo per cui ciò che un individuo sente intimamente a livello profondo, emozionale, viene represso e confutato da pareri esterni, fino alla negazione stessa dell’emozione e a una conseguente svalutazione delle capacità dell’individuo di interpretare correttamente la realtà.
In ambito relazionale, il nostro sistema limbico emette costanti cascate ormonali, genera emozioni, che ci rendono capaci di comprendere il mondo e come ci sentiamo nei suoi confronti.
Durante l’infanzia la scoperta e il riconoscimento di queste emozioni è estremamente importante per lo sviluppo cognitivo e caratteriale dell’individuo.
Se l’ambiente in cui il bambino vive lo aiuta a individuare, riconoscere e dare valore alle proprie emozioni, lo aiuterà a diventare un adulto equilibrato, consapevole del proprio valore, capace di pretendere e dare il giusto rispetto nei rapporti interpersonali.
Crescere un bambino è un lavoro estremamente complesso, una ricerca costante dell’equilibrio tra due eccessi (eccessiva drammatizzazione e troppa minimizzazione) che non è affatto semplice da mantenere, per cui è comprensibile che, seppur animati delle migliori intenzioni, gli adulti possano commettere degli errori.
Uno dei problemi fondamentali della nostra società nell’educazione dei bambini è il differente trattamento applicato ai piccoli in base al loro genere biologico. L’educazione di genere alimenta e rafforza tutta una serie di stereotipi che ledono la capacità di autodeterminazione dell’individuo e lo espongono, a seconda del proprio sesso, a tutta una serie di difficoltà cui non andrebbe incontro se durante il processo educativo si tenesse conto delle peculiarità caratteriali di ciascun soggetto, piuttosto che cercare di incanalare e modellare il carattere dei bambini all’interno degli stereotipi che secoli di cultura sessista hanno prodotto e cucito addosso alle persone.
Non diremmo mai a un bambino maschio che il bullo di cui è vittima in realtà è interessato a lui, gli diremmo di lottare, di farsi valere, di essere uomo. A una bambina, invece, diciamo che è qualcosa di cui dovrebbe essere contenta.
Dire a una bambina che i maltrattamenti di cui è vittima sono sintomo di un interesse romantico da parte del suo persecutore è di per sé una leggerezza innocente, e resterebbe tale, se l’intera società non contribuisse negli anni a rafforzare questa idea malsana: se ti maltratta, in realtà ti ama.
Un’esperienza del genere, comune alla quasi totalità del genere femminile del mondo occidentalizzato, pone la prima pietra nella psiche della donna affinché svilisca se stessa, il proprio valore, perché sminuisce la sua capacità di percezione. Indirettamente, è come dire alla bambina che quel che sente – il disagio, il fastidio, l’umiliazione, la rabbia – è sbagliato. Poiché in realtà le intenzioni dell’altro bambino non sono cattive (il che potrebbe essere assolutamente vero), allora lei deve rifiutare le emozioni causate dalle azioni dell’altro e sostituirle con le emozioni legate alle sue intenzioni: orgoglio, lusinga, piacere, perché è già diventata oggetto di interesse.
Il primo passo verso l’oggettivazione è convincere l’individuo di non avere abbastanza capacità e competenze per decidere autonomamente cosa sia il suo bene. E spingere una persona a sentirsi gratificata del venire ridotta a oggetto dovrebbe essere considerato un atto aberrante e profondamente diseducativo.
Nei circhi con animali si ha un’abitudine consolidata per addomesticare gli elefanti affinché non provino a scappare: sin da piccoli vengono incatenati a dei picchetti piantati profondamente nel terreno, i cuccioli provano a liberarsi, ma essendo deboli non ci riescono e si convincono che non ci sia alcun modo per fuggire, per cui anche da adulti sarà sufficiente un picchetto (che potrebbero sradicare senza difficoltà) per evitare che fuggano.
La frase che apre questa introduzione è il primo colpo di martello al picchetto con cui la donna viene addomesticata sin dall’infanzia, attraverso tutta una serie di rafforzamenti successivi, ad accogliere passivamente e sentirsi gratificata da atteggiamenti di fatto lesivi psicologicamente e fisicamente; a ridursi autonomamente a oggetto per attirare l’interesse dell’altro, a interpretare la prepotenza, la gelosia morbosa, il possesso, il controllo e la privazione della libertà individuale come espressioni d’amore.
Questa visione distorta del rapporto uomo/donna è così radicato, così interiorizzato nella nostra società, che l’intero mercato artistico (grafico, cinematografico, letterario, musicale, videoludico) produce e diffonde quantità abnormi di prodotti che continuano a riproporre e rafforzare questo cliché dell’uomo bruto e maltrattante che si comporta male, ma in realtà ha profondi e inossidabili sentimenti romantici verso la protagonista di turno, la quale riuscirà a conquistarlo subendo in silenzio ogni umiliazione, perdonando ogni torto, fino ai più indicibili.
E alla fine, se sarà abbastanza forte da resistere a tutto questo, verrà premiata dalla rivelazione della vera natura del compagno, il suo amore romperà il guscio tossico dentro cui, in realtà, sono custoditi sentimenti profondi e travolgenti, eterni, in grado di regalarle la vera felicità amorosa.
E se nella finzione potremmo anche perdonare queste dinamiche tossiche e relegarle a guilty pleasure di puro intrattenimento, nella vita reale le cose sono ben diverse. Legarsi a una persona tossica non può portare ad altro che all’autodistruzione, ma di questa verità non ne parla quasi nessuno, anzi, le relazioni tossiche proposte nei prodotti di intrattenimento vengono elevate a ideale cui ambire, gli abusi vengono normalizzati, romanticizzati persino.
Il problema fondamentale è che la maggior parte dei prodotti che esaltano questo tipo di rapporti sono indirizzati a un pubblico adolescente o post-adolescente, che non possiede ancora mezzi ed esperienza sufficienti a distinguere quanto l’happy ending al termine di queste dinamiche sia irrealistico. Questi meccanismi costantemente ripetuti vengono dunque interiorizzati, portando soprattutto le ragazze a credere che gli atteggiamenti lesivi tipici di una relazione tossica siano segni di vero amore, mentre l’unico destino cui vanno incontro è quello di naufragare fino all’annientamento dell’identità personale, per arrivare in casi estremi al femminicidio.
Chiunque si dedichi alla creazione di contenuti deve tenere presente che il proprio prodotto deve avere anche una componente istruttiva, che spinga il fruitore a riflettere e maturare un pensiero critico, soprattutto quando parliamo di prodotti destinati ai giovani.
La letteratura e il cinema in particolare hanno il grande potere di far vivere esperienze di vita indirettamente, e, quando insegnano qualcosa, l’utente ne trae arricchimento interiore, fa frutto dell’esperienza senza dover fare i conti con le conseguenze che dovrebbe affrontare se vivesse l’evento in prima persona.
Se da un lato, infatti, è vero che la letteratura di intrattenimento ha appunto lo scopo di intrattenere il pubblico, è anche necessario tenere conto dello sviluppo cognitivo degli individui ai quali è rivolto il prodotto, e io credo che sia necessario tenere a mente, quando si realizza un contenuto destinato agli adolescenti o comunque a persone molto giovani, quello che andiamo a raccontare e di come lo andiamo a raccontare.
Non bisogna avere un atteggiamento censorio, che eviti determinati argomenti, anzi, è importante che di certe problematiche se ne parli e anche approfonditamente, ma è estremamente importante farlo nel modo corretto.
Romanticizzare fenomeni come la depressione, la codipendenza, l’abuso, dandone una visione positiva, è fortemente lesivo per la crescita del lettore, e lo mette in condizione di non riconoscere appropriatamente comportamenti deleteri nella vita reale.
Raccontare determinate tematiche nel modo corretto, invece, fornisce a chi legge gli strumenti per un’analisi critica e consapevole qualora dovesse ritrovare le stesse dinamiche nella vita reale.
L’intento di questo volume è quello di analizzare una serie di contenuti destinati al target young adult (una fascia di pubblico di età compresa tra i diciassette e i venticinque anni), evidenziare le dinamiche tossiche che vengono distorte e romanticizzate fino ad essere elevate a ideale romantico cui ambire, e confrontarle con prodotti – troppo scarsamente presenti, purtroppo – destinati allo stesso target ma che portano esempi relazionali ben più sani e costruttivi.
In questa sede verranno analizzati esclusivamente prodotti piuttosto famosi, che hanno generato vere e proprie mode, diventando dei cult ed espandendosi da un medium all’altro. Sarebbe stato interessante approfondire citando anche contenuti meno conosciuti, ma sarebbe impossibile inserire tutto in questo piccolo volume.

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