Prima di lasciarvi alla lettura, vi segnalo che il nome Sive si pronuncia Seiv
Mia madre era una Gytrash d’Irlanda.
Si chiamava Sive. Significa buona,
amorevole.
Quando mi raccontava la sua infanzia, nei
suoi occhi azzurri potevo vedere la spuma bianca del mare schiantarsi contro le
pareti nere delle scogliere, la bruma profonda che si gonfiava nelle vallate
diluendone i contorni in un paesaggio nebuloso, le foreste immerse nel buio
abissale che echeggiava dei richiami ancestrali degli spiriti Sidhe.
Come tutti i Gytrash del tempo, anche il
branco di mia madre si era piegato al patto di segretezza stipulato tra le
razze. Rispettare il patto, per i Gytrash, significava volgere le spalle alla
propria natura di mutaforma e consumare la propria lunga esistenza col solo
volto umano.
Soltanto la vendetta per una giustizia
mancata consentiva loro di ritrovare la natura del lupo e lavare l’onta col
sangue colpevole.
Sive non riusciva ancora a trasformarsi e
per questo non aveva ancora ricevuto il permesso di correre con gli altri lupi
del branco al richiamo straziato della giustizia tradita.
Poteva solo guardarli dalla terrazza del
castello mentre si allontanavano, sagome nere nel nero della notte.
I suoi occhi seguivano i balzi del branco
nelle volute di nebbia, fino alle soglie della foresta. Da quel punto in poi,
li seguiva il suo cuore. Si sdraiava sotto i raggi della luna, chiudeva gli
occhi e si lasciava pervadere dalle emozioni.
Il suo cuore poteva sentire tutta la
concitazione della cerca, il ritmo potente delle zampe che affondavano nei
muschi marcescenti, gli schiocchi dei rami tranciati dai corpi possenti
lanciati nella corsa.
L’odore della foresta le invadeva i
polmoni.
Il canto del ruscello, col suo profumo di
fresco, di pulito, di vita primigenia, s’insinuava sotto la sua pelle.
E poi la vita. Il profumo della vita,
quell’odore che solo gli umani possiedono e che asseta tutti i sensi fino a
mandarli in frantumi.
Ai giovani Gytrash era proibito accedere ai
villaggi, perché quel profumo così simile al nettare degli dei avrebbe potuto
farli impazzire.
Sive lo capiva bene. Seguiva gli anziani
nella cerca attraverso gli odori fetidi dei villaggi. Sudore umano, sterco di
animali, fuliggine e rancido.
Il miasma della morte strisciava nei vicoli
fangosi, arrampicandosi lungo le pareti delle case.
Eppure, persino sotto tutto quel lezzo, il
profumo della vita era l’odore più potente, più inebriante, capace di farle
venire l’acquolina in bocca.
Sangue.
Rabbia.
Istinto di colpa.
Peccato.
Il marchio della colpa era una traccia
olfattiva inconfondibile. Guidava il branco nel marasma di spregevoli fetori,
conducendoli alla preda.
L’esaltazione della caccia aveva inizio.
Nessuno sfuggiva alla furia dei Gytrash. Ogni colpa veniva lavata col sangue
della vendetta.
Secondo quanto si conosceva della loro
natura, nessun Gytrash, neppure uno di sangue purissimo come lei, avrebbe
potuto essere in grado di percepire le emozioni del branco prima di aver
sviluppato la capacità di mutare forma.
Eppure lei poteva.
Gli anziani dicevano che fosse un dono
degli antichi dei.
Suo padre temeva potesse essere una
manipolazione del demonio.
Sive era convinta che fosse la sua sete di
libertà a permetterle di sentire il branco come avrebbe fatto un mutaforma
adulto.
Fu durante una caccia, quando ormai aveva
tredici anni, che accadde.
Non più la foresta con le sue tenebre liquide
e rassicuranti, non più i profumi familiari della natura notturna, ma una
gigantesca sala di pietre grigie si prostrò innanzi a lei.
Il fumo che risaliva dalle torce accese
rilasciava un odore acre che bruciava la gola, misto a quello dolciastro degli
incensi e a quello ferruginoso di sangue fresco.
E su tutto, ardente come la fiamma, il
profumo della vita.
La sala era gremita di umani.
Immediatamente si rese conto di aver perso
il branco. Il suo cuore si era congiunto a quello di un altro Gytrash. Un Gytrash
che viveva tra i mortali.
Il cuore di Sive si spaccò in due mentre
giaceva sul pavimento della terrazza inzuppata di plenilunio. Spalancò gli
occhi azzurri come se la vita le venisse meno, annaspò nell’aria, naufraga di
un incubo.
L’urlo di orrore le squarciò la gola, e al
suo grido si unirono gli ululati dei Gytrash lontani nella notte.
Esyllt era morta.
Esyllt la bionda. Esyllt la bella. La
Gytrash del branco data in sposa al Cavallo di Cornovaglia.
Sua sorella.
*
Sua sorella non era una semplice Gytrash
data in sposa a un sovrano straniero. Non era una semplice regina post-morta in
una corte di fragili umani.
Esyllt incarnava, con la sua presenza alla
corte di Dintagell, la fine di ogni conflitto tra l’Irlanda e la Cornovaglia.
La sua persona era l’emblema stesso di
quella pace faticosamente raggiunta.
Nessun Gytrash irlandese avrebbe ucciso in
terra di Cornovaglia, finché la sacerdotessa Esyllt ne fosse stata la regina.
Ma ora Esyllt era morta.
Uccisa dall’ira terribile di quello che
ormai era il suo stesso popolo, che ne aveva scoperto la vera natura quando si
era tramutata nella sala del trono, davanti a centinaia di esseri umani.
Ricordava ancora che aspetto avesse Esyllt
nella sua forma animale. Una creatura gigantesca dal manto color del carbone,
così cupo che sembrava assorbire nella sua tenebra la luce più sfolgorante del
mezzodì, trasformando il giorno in notte.
Agli occhi ignoranti degli umani, la dolce
bionda regina doveva essere parsa improvvisamente l’incarnazione del demonio.
Sive piangeva, fissando i boschi che si
stendevano fino alla linea brillante dell’orizzonte, domandandosi perché mai
sua sorella avesse compiuto quel gesto suicida.
*
Da Dintagell giunsero due catafalchi neri
su un carro rosso trainato da puledri bianchi.
In uno era stato ricomposto il corpo di
Esyllt, dilaniato dalla ferocia della paura umana. Nell’altro giaceva un
giovane dai riccioli neri. La gola recisa con un colpo preciso e letale.
Sive lo riconobbe senza sforzo. Era il
giovane cavaliere che, cinque anni prima, aveva richiesto la mano di Esyllt a
nome di re Marc’h. Il suo nome era Drustan.
Sive non capiva come facesse a sapere che
sua sorella fosse stata innamorata di Drustan. Così come non capiva come
potesse essere così certa che Drustan fosse il
nipote e il campione del re cavallo.
Sapeva soltanto che il suo cuore era andato
in pezzi. Sua sorella era morta, uccisa dalla paura umana. Uccisa, perché s’era
mostrata nella sua vera forma.
I cavalieri di Cornovaglia dissero che il
re in persona faceva richiesta affinché i due defunti fossero sepolti insieme.
E così fu fatto.
Un unico sepolcro che unisse nella morte
due innamorati che la vita aveva diviso.
*
La storia di Esyllt fu colta dalle note
morbide dei menestrelli, che ne cantarono il tragico amore attraverso le corti
d’Europa.
Il mondo ne conservò la memoria distorta
col nome d’Isotta la bionda.
Sive sentì per la prima volta la canzone di
sua sorella quando era andata già sposa. La storia era stata stravolta, facendo
della più coraggiosa delle Gytrash irlandesi una fragile indifesa umana, ma non
importava.
Sua sorella non era stata dimenticata. E
chiunque appartenesse alle razze segrete sapeva ritrovare la verità sotto le
ceneri grigie delle licenze poetiche.
Dissanguami
Cronache del Sangue vol 2
Esyllt la bionda
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