Forse,
se lei non avesse urlato.
Forse,
se lei non l’avesse abbandonato.
Forse,
se le suole delle sue scarpe nuove non fossero state così scivolose.
Forse…
forse… forse…
Si
dondolò amaramente sui talloni, stringendosi nella t-shirt leggera mentre il
bosco iniziava ad esalare un’umidità fredda e pungente che gli ghiacciava
persino le ossa.
O
era il freddo della colpa.
Aveva
continuato a ripetersi che non era stata colpa sua, che era stato solo un
incidente, ma nelle sue mani tratteneva ancora l’impronta della resistenza del
corpo di Sarah quando ne aveva respinto l’abbraccio, prima che il mondo andasse
in frantumi.
Forse
stava impazzendo. Forse, la mente sconvolta instillava nella sua pelle incubi
di filo tagliente, ma contro il palmo destro continuava ad avvertire una
resistenza più forte, più disperata.
Il
figlio raccolto nel grembo di Sarah aveva scalciato poderosamente in risposta
al terrore della madre, lottando invano per salvarsi la vita.
E
nel momento stesso in cui si rendeva conto che il suo più atroce desiderio si
stava realizzando, Michael aveva capito che, in fondo, non aveva mai realmente
odiato il bambino che gli aveva rubato le attenzioni di sua sorella, i suoi
lunghi abbracci caldi, balsamiche cure contro la rabbia dell’uomo che aveva
dato loro la vita.
Nel
fondo degli occhi gli era rimasto impigliato il raggio di luce che trasformava
i capelli biondi di Sarah in un’aureola dorata e fluttuante intorno al suo
volto dai tratti impalpabili. E il biancore pastoso del suo vestito leggero.
Come
una coltellata inferta ancora, e ancora, e ancora, la sua mente continuava a
replicare nelle sue pupille lo stesso insignificante dettaglio della stampa del
suo abito a piccolissimi fiorellini azzurro ceruleo.
Ed
era stato in quell’attimo, quando le sue mani avevano perso contatto col suo
corpo e il calore di lei si era conficcato nei suoi palmi fino alle ossa in un
alito rovente d’inferno, che Michael aveva capito di amare il bambino chiuso
nel ventre di sua sorella.
Ma
era troppo tardi.
Sarah
aveva proteso una mano che lui non era riuscito ad afferrare, e per un lungo
infinito attimo il mondo si era svuotato di ogni suono, di ogni senso.
Tra
le braccia del vuoto, il corpo di Sarah aveva lottato, inutilmente, per
trattenere nel petto quella sua vita così importante, così preziosa, ora che si
era fatta portatrice di altra vita.
Poi,
in un attimo sublime e mostruoso, era andata in pezzi. E i sogni di Sarah, e la
casa, e il mondo, e l’intero universo con lei.
Dall’alto
delle scale, Michael aveva visto il sangue allargarsi sul pavimento
dell’ingresso, accarezzare con un macabro lucore vermiglio il corpo che giaceva
disarticolato sull’ultimo gradino. E non aveva creduto a quello che vedeva.
Fuggire.
In realtà non l’aveva pensato, si era
soltanto allontanato quanto più in fretta poteva dal luogo in cui il mondo
aveva perso la propria logica, mostrandogli un orrore che non poteva, non
doveva essere reale.
Ma
il tempo, e la notte che era calata su di lui, gli avevano fatto capire che sì,
era reale.
Sangue
scarlatto era stato versato.
Era
sgorgato dalle sue mani bianche, e sgorgava ancora, incessantemente, in un
lento fiume carico di lamenti strazianti che penetravano dentro di lui come
spine arroventate. Intanto il fiume si ingrossava, defluiva lento e doloroso
fra le felci del sottobosco, insanguinava i fiori blu lapislazzuli che
crescevano all’ombra delle fitte fronde estive, dissetando la vita degli alberi
con la morte.
Morte
innocente.
E
dal livido cielo d’Agosto scendeva su di lui gelida neve, attanagliando il suo
cuore in un abbraccio di ghiaccio che ne atterriva il battito.
La
neve della colpa.
Michael
protese una mano tremante, un fiocco si posò nel mezzo del suo palmo, lanciando
un debole scintillio metallico prima che la sua epidermide lo assorbisse.
Il
figlio di Sarah era morto.
Aveva
ucciso sua sorella.
Aveva
ucciso il suo bambino.
Aveva
ucciso l’ordine del mondo.
Canti dall'Inferno - Linea di Michael
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