E c'era acqua copiosa che pioveva dal cielo.
Non fuori.
Dentro.
Righe di cristallo fluido e lucente. Tracciate coi coltelli.
Lame affilate sulla carne del cuore.
Che chiamavi bene. Che chiamavi amore.
E anni di dolci, sciroppose, avvelenate bugie.
Ci sono.
E quando calava il buio, non c'eri.
Ti ascolto.
E sì, lo facevi. Ma solo per appuntarti tutte le debolezze, così da poter colpire con più precisione quando voltavo le spalle.
Ti aiuto.
E le sole mani che hanno dato aiuto, quando dovevo tenere insieme la carne lacera, sono state le mie.
Avevi sempre troppo da fare.
Avevi i tuoi problemi.
Eri tu quella che stava male.
Sei importante.
E mi prendevi per mano, mi portavi con te, come il cucciolo al guinzaglio troppo scemo per capire che lo si sta portando al canile. Ma lo facevi solo quando dovevi andare in un posto che ti faceva noia, tra gente che avevi paura di affrontare in solitaria.
Perché quando ti sentivi sicura di te, quando pensavi di poter brillare senza ostacoli, allora neanche me lo dicevi.
E io lì, sospesa sul ciglio del cielo a fare il parafulmine, a prendere tutti i colpi al tuo posto, a difenderti quando ti svalutavano, ti insultavano, si prendevano gioco di te.
Io lì, sospesa sul ciglio del cielo, non vedevo che in mezzo ai bulli da cui provavo a proteggerti c'eri tu, che ridevi di me e gioivi dei miei fallimenti.
Lei è la mia amica scrittrice, dicevi, quando mi presentavi agli altri.
Ma lo facevi solo perché sapevi che poi loro avrebbero chiesto con chi hai pubblicato?
E quando alla mia risposta sono un'autrice indipendente seguiva il loro volto sprezzante che mi definiva perdente, tu, sottile come uno stilo affilato, sorridevi di nascosto della mia umiliazione.
Convinta, nella tua presunzione, che io non me ne sia mai accorta.
Ma io lo vedevo.
In nome del bene mi velavo gli occhi, stringevo i denti e fingevo di non aver neanche sentito il colpo.
I lividi, poi, sarebbero guariti nella notte della mia solitudine.
Mi fai sentire giudicata.
E io cretina ti credevo, mettevo in dubbio tutto quello che so di me e chiedevo disperatamente in giro se fossi effettivamente colpevole dell'accusa che mi rivolgevi.
Cieca.
Ho capito solo ora che ti sei sempre sentita giudicata da me perché sei sempre stata tu quella che sputa giudizi sul prossimo. Sei sempre stata tu a giudicare me, e credevi che se ti fossi aperta come ho fatto io con te, io ti avrei riservato lo stesso trattamento.
Io non sono come te, non sono così sessuale da pensare subito a come mi chiaverei qualcuno.
Disse quella che indovina le misure di un membro maschile guardandogli il cavallo dei pantaloni. Quella che critica la luminaria di un angelo che sembra un birillo definendola un plug anale.
Quella che ha fame di sentire le amiche raccontare storie di sesso perchè ha troppa paura per farlo in prima persona. Che poi le raccoglie, queste storie, le fa proprie, e le racconta ad altri come se le avesse vissute lei.
Grazie, per tutte le volte che mi hai dato velatamente della troia.
Tu mi idealizzi.
L'unica verità.
Ti credevo buona.
Ti credevo empatica.
Perché bevevo ad ampie sorsate dal calice velenoso del tuo gaslight.
Ti credevo, quando mi facevi capire che questa o quell'altra persona ti sfruttava. E io mi arrabbiavo, ci ho litigato con quella gente.
Ho spezzato legami, bruciato ponti, per te.
Ora tu sei ancora loro amica, e nella vostra storia comune io sono la pazza o peggio la cattiva.
Ogni tua bugia svelata me l'hai rivoltata contro con: te lo sei immaginato, hai capito male, scherzavo, sei tu che la prendi troppo sul serio, no ma che dici te l'ho detto sei tu che non te lo ricordi.
E io, cretina, che per anni ho preferito credere a te invece che al mio cervello.
Poi ho capito.
Triangolazione. L'hai sempre fatto.
Hai usato me, quando mi hai conosciuta, per triangolare la tua amica di infanzia. L'hai resa così insicura che mi odiava senza neanche conoscermi.
Hai usato la tua collega di studi per triangolare me, esaltando i suoi mille talenti mentre a me hai iniziato a dire ti lamenti, non fai abbastanza, sei pigra, impegnati di più. Mi sono ritrovata a odiare una persona scialba e insipida perché ho creduto (sbagliando) che fossi diventata una stronza per colpa sua.
Hai provato a mangiarmi un pezzetto alla volta, gonfiandoti di una soddisfazione bulimica mentre mi guardavi sprofondare sempre di più, sentendoti grande a ogni passione che perdevo.
Fingevi di tendermi la mano, mentre mi propinavi come consiglio l'unica soluzione che sapevi mi avrebbe condotta ancora di più al disastro.
Quanto mi hai odiata, quando ho ripreso in mano la penna? Quanto fiele si è riversato nelle tue vene, quando ho iniziato, entusiasta, a parlarti per settimane della nuova storia che stavo scrivendo?
Tu forse non lo ricordi più, o dirai semplicemente a te stessa che non è mai successo, ma io ce le ho incise nella carne, tutte le volte che hai sbuffato perché ti annoiava, ti infastidiva, che stessi risalendo dal fondo del pozzo.
Perché la verità è che tu non hai mai voluto che tornassi a scrivere.
Mi preferivi la cameriera infelice intrappolata in un lavoro sottopagato, frustrata e stanca, senza più sogni da coltivare. Ero più facile da manovrare. Ti richiedeva meno sforzo, così, travestirti da santa salvatrice.
Era più facile, quando ero nel fango, raccontarmi agli altri come la povera amica coi problemi che tu, magnanimamente, hai sempre cercato di salvare da se stessa.
Lo sanno, gli altri, quante volte hai provato ad annegare quel po' di luce che mi era rimasta?
Tu, camaleontica, che diventi lo specchio delle persone di cui decidi di nutrirti.
E con me eri una città notturna piena di luci misteriose e calde. La notte stellata di Van Gogh col sogno di portare la fantasia nel mondo reale.
Con gli amici di infanzia eri la metallara nerd che si abbuffava di serie TV.
Con le colleghe d'Accademia eri il genio spigliato e spregiudicato che ascoltava musica di merda perché fa ridere e non aveva paura di sparare a mitragliatrice battute volgari.
Ora sei l'intellettuale sostenitrice dei piccoli artisti indipendenti, che stranamente non trova venti minuti alla settimana per guardare i video di quella che definisce la sua migliore amica per darle un parere sull'immane lavoro che fa.
Ma la verità è che tu sei acqua.
Acqua copiosa che piove dal cielo.
Non fuori.
Dentro.
Righe di cristallo fluido e lucente. Tracciate coi coltelli.
Non hai una forma tua, propria e personale. Rubi quella del contenitore in cui decidi di infilarti con il preciso scopo di spaccarlo dall'interno dopo che ti sei presa tutto quello che potevi.
Ho preparato i tuoi esami.
Ho scritto la tua tesi.
Ho costruito per te quei legami che ti hanno permesso di avere il lavoro che hai.
E a me hai riservato soltanto i tuoi scarti, vendendomeli come doni e fingendo pudicizia davanti alle mie genuflessioni di gratitudine.
Ma sai. A questo tuo gioco, è da tanto che io non gioco più.
Ti ho vista per quello che sei diverso tempo fa, ho solo deciso di chiudere gli occhi, chiudere il cuore, e lasciare che stazionassi nella mia vita quando avevi voglia di farlo.
Sapevo che un giorno avrei dovuto sollevare la spada e tagliare questo cordone decomposto che ci legava. Ma per quanto tu mi abbia fatto del male, reciderlo mi faceva male uguale, così ho rimandato il più possibile.
Ho imparato a scansare i tuoi coltelli facendo un passo indietro ogni volta.
Ho chiuso la porta di quella stanza speciale che ti avevo riservato. Ma tu sei così piena di te che in questi ultimi due anni non te ne sei neanche accorta.
Tanto io ci sarei sempre stata.
Così credevi.
Sbagliavi.
Sbagliavo anche io.
Ho davvero creduto che avrei potuto continuare a fingere con me stessa che fossi mia amica per tutta la vita.
Crederlo mi confortava. Perché riconoscere di aver buttato tredici anni in questo modo era troppo doloroso.
Tu di me sai tutto.
Sei sempre riuscita a farmi raccontare completamente. Anche dopo essermi distanziata.
Io, di te, in questi tredici anni non sono mai riuscita a sapere niente.
Quel poco che so te l'ho dovuto strappare dai denti con le tenaglie, sentendomi un mostro ogni volta.
Poi, l'altro giorno, mi sono trovata sulla via per Damasco.
Ma quando ti succede qualcosa di bello, non è naturale correre dalla persona a cui vuoi più bene per raccontarle tutto in ogni dettaglio?
Che fiducia hai in me, se per sapere di una bella serata con una persona che hai avuto piacere di conoscere e che spero possa rappresentare una pietra miliare nella tua vita - se non addirittura LA pietra miliare - sono costretta a farti un interrogatorio come se fossi il poliziotto cattivo e strapparti da bocca svogliati infastiditi monosillabi?
Come mi consideri, se il tuo primo istinto quando vedi lo spiraglio di un nuovo legame è quello di cancellarmi e nascondermi sui social?
Se non c'è reciprocità, allora l'amicizia è solo un'illusione.
Io, in questi tredici anni, bruciavo dalla voglia di condividere ogni cosa con te. Di conoscere il tuo parere. Di ascoltare il tuo punto di vista.
Io sono stata la tua amica.
Tu, non sei mai stata la mia.
E così ecco.
E' scemata la rabbia.
E' caduto il velo.
Ti ho vista davvero.
E quel vuoto immenso che credevo cielo notturno si è rivelato per quello che è. Un pozzo artesiano che inghiotte l'innocenza e nutre una creatura vuota che non vede i propri talenti e invidia quelli degli altri, ha troppa paura di vivere e rode di veder vivere le altre persone, si sente fallita a qualsiasi traguardo e segretamente spera che gli altri intorno a lei falliscano, così può smettere anche solo per un istante di sentirsi inferiore.
Ti svelo un segreto: non lo sei, inferiore. Hai tanti doni, tante capacità. Sei così brava in tante cose che in questi anni io non ho potuto non fare un costante, sfrenato tifo per te ogni singolo giorno.
E ho pianto, quando queste tue capacità sono state riconosciute e ti hanno portata dove sei ora, perché sì, è solo un inizio, ma almeno è l'inizio che io non ho ancora avuto. E se tu l'hai avuto allora forse c'è un filo di speranza anche per me.
Ho pianto di gioia, perché sono sempre stata sinceramente convinta che meritassi di vedere i frutti del tuo impegno.
Ho esultato, perché le tue vittorie, anche le più piccole, mi rendono felice come se fossero le mie.
Mi dispiace solo che tu non riesca a vedere.
Ma nonostante il bene che ti posso volere, nonostante tutta la gioia che io ti possa augurare, ormai non posso più fingere di non vedere tutto il tuo livore.
E non posso permettere che questo mi schiacci.
Non è compito mio, curare le tue distorsioni mentali.
Il compito è tuo, e tu non vuoi farlo, e va bene così. Ma senza di me.
Io, adesso, devo pensare alla mia vita.
Ho pensato fin troppo a far fiorire la tua per ricevere in cambio solo calci in faccia.
E così non è stato necessario neppure sollevare la spada.
Il legame si è dissolto. Punto.
Tu non sei stata mia amica.
Ma sei stata una grande, orrenda, preziosa esperienza.
Mi hai insegnato tanto.
E non importa se nella storia che racconterai agli altri sarò la tua cattiva. In realtà credo che ti limiterai a cancellarmi dallo schema con un colpo di spugna, e va comunque bene così perché la verità è che davvero non mi importa più niente.
Sei stata importante. Ti ho creduta preziosa, per me e per il mondo. Ti ho pensata speciale e insostituibile.
E non importa che ormai tutto questo non abbia alcun peso.
Persino la delusione, è dissolta.
C'è un ricordo bellissimo che porterò sempre con me come un tesoro.
Quella sera, nel vento salmastro, quando rubarono il mio dipinto e tu, che sei l'imperturbabilità fatta persona, ti sei arrabbiata così tanto per difendermi, per rimediare al torto, e hai tirato fuori un leone fiammeggiante affamato di giustizia, perché mi hai vista piangere incapace anche solo di protestare.
Io ero debole, avvilita, e tu quella notte sei stata tutta la forza che io non avevo.
E ti sarò sempre grata per questo.
Non me ne importa niente che alla fine il dipinto sia rimasto perduto.
Io quella sera ho perso uno stupido disegno, ma ho vinto almeno per qualche ora tutta l'amicizia che potevi darmi.
Quella sera, quel ricordo, ripaga questi tredici anni gettati nel vento a credere in un miraggio.
Ora, nel silenzio che segnerà le reciproche assenze, dentro di me resta solo una domanda: perché?
Perché l'unico modo che conosci per sentirti speciale agli occhi degli altri è investirmi come un autoarticolato impazzito e umiliarmi con insulti che travesti da battute?
So che questa domanda non avrà mai una risposta, tu neanche te ne sei accorta di tutto il male che mi hai fatto, figuriamoci se puoi motivarlo.
Però dentro di me la domanda resta.
Forse un giorno, quando creperemo e a sorpresa ci troveremo al cospetto dell'Altissimo in cui non crediamo, forse allora una risposta saprà darmela lui. O lei. O divinità genderfluid-nonbinary LGBTQ+ e tutto il resto appresso.
Nel frattempo, sii felice, arriva lontano, innamorati, cresci, e sogna e costruisci i tuoi sogni rendendo questo mondo più strambo e più bello come solo tu sai fare.
Cadi, rompiti, piangi, ma poi rialzati e splendi.
Non posso che augurarti di vedere tutto quello che ora non riesci a vedere di bello in te, così da smettere di cercare di rubarlo al prossimo.
Voglio per te tutto il bene del mondo.
E lo voglio per me, ma senza di te.

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